Siamo quello che mangiamo, diceva il grande filosofo tedesco Ludwig Feuerbach a metà dell’Ottocento. A confermarlo oggi è anche uno studio condotto da alcuni ricercatori del 
Linus Pauling Institute della Oregon State University che, in collaborazione con gli scienziati della Oregon Health and Science University di Portland, hanno analizzato un campione di 104 persone con un’età media di 87 anni.
Il campione analizzato ha dimostrato che le persone anziane che si nutrivano in modo sano, consumando cibi con elevati livelli di alcune vitamine e di alcuni acidi grassi - come gli 
omega 3 -, avevano un punteggio migliore nelle prove di acutezza mentale rispetto a chi prediligeva 
cibi cosiddetti 
“spazzatura” (snack, merendine, patatine, bibite gassate e zuccherate, cibi da fast food).
Le scoperte dell’équipe sembrano non terminare qui: 
mangiare meglio, infatti, potrebbe 
contribuire non poco a ridurre il restringimento del cervello, fenomeno in genere associato al morbo di Alzheimer, e se le prossime ricerche confermeranno quanto sin qui raggiunto, in futuro l’alimentazione potrebbe acquisire un posto di rilievo nella 
prevenzione delle malattie degenerative del sistema nervoso.
Invece di utilizzare solo i questionari alimentari, spesso imprecisi e poco affidabili, il gruppo di ricercatori attraverso l’uso di biomarcatori ha “indagato” una vasta gamma di nutrienti nel sangue, notando come ad alti livelli di vitamine B, C, D ed E, così come di olii sani che si trovano nel pesce, corrispondessero effetti positivi tanto sulla 
rapidità mentale, quanto sulle dimensioni del cervello. Tutte sostanze che si possono reperire anche in frutta e verdura.
E gli anziani che, al momento del test, prediligevano magari i cosiddetti grassi “trans”, contenuti negli alimenti fritti, consumati nei fast food, o che comunque mangiavano in modo non sano? Hanno collezionato i peggiori risultati nei 
test cognitivi, con variazioni del 17% nei punteggi e differenze nel volume cerebrale del 37%.
Se l’America indaga, la ricerca italiana non sta certo con le mani in mano. Anzi, la conferma che una dieta con una 
bassa concentrazione di grassi mantenga intatte le attività cognitive, arriva da uno studio condotto dai ricercatori dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. Qui è stata identificata una molecola dalle capacità inaspettate. Si chiama 
Creb1 e si attiva con una dieta a 
basso contenuto calorico. 
Nulla di eccezionale si direbbe, se non fosse che funziona da “direttore d’orchestra” accendendo o spegnendo altri 
geni che agiscono sulla
 longevità e sul buon funzionamento del cervello. Insomma, Creb1 è una specie di “pulsante” molecolare che regola importanti funzioni come memoria, apprendimento e controllo dell’ansia. Un interruttore sensibile a ciò che mangiamo e che ha un unico problema: diminuisce fisiologicamente con l’avanzare dell’età. Per questo è importante seguire una dieta moderata per consentire a questa molecola di fare il suo lavoro: attivare nel cervello i geni delle 
sirturine, le molecole della longevità.